Ho voluto fare un esperimento. Mi sono
assentata da Facebook per ben due mesi senza comunicare questa decisione a nessuno.
Facebook è il ”social” per definizione; ci si aspetta, in sostanza, che aiuti le persone a rimanere in contatto, a rafforzare legami già esistenti attraverso un continuo scambio giornaliero di informazioni e a crearne anche di nuovi. Tutto ciò è vero. Non si può negare che attraverso l'uso di Facebook crescano le occasioni di fare nuove conoscenze e di rendere più solidi o, al contrario, rompere del tutto i rapporti precedenti.
Ma cosa accade quando una persona improvvisamente sparisce dal social?
Intendo una persona che lo usa più volte quotidianamente, interagendo e che, anzi, nella vita reale, viene fermata per strada da altre persone che le dicono “forte, mi fai spaccare dal ridere su Facebook”.
Niente.
Non se ne accorge praticamente nessuno, nemmeno vostra madre (a cui l'avete comunicato 3 o 4 giorni dopo al solo fine di non farla preoccupare visto che vi vedete e sentite raramente nella vita reale).
In realtà, nel mio caso, sono state due le persone che mi hanno chiesto conto di questo improvviso buio social. Oltre quelle, ad oggi, nessuno si è chiesto “ma la Tati, che fine ha fatto?”. Anzi, dirò di più. La gente mi ferma ancora e mi ripete le stesse parole di prima, come se nulla fosse cambiato.
Tutto questo si spiega facilmente con la considerazione del fatto che Facebook non è affatto un mezzo per comunicare con gli altri ma solo e perlopiù un mezzo per ottenere biscottini di scarsa qualità per il proprio ego.
Ogni volta ci si impegna a scrivere un post in bacheca, fateci caso, non lo si scrive per esprimere un'idea, un qualcosa tout court; lo scopo primario è quello di ottenere un apprezzamento da parte degli altri “utenti” e dunque una mini celebrazione istantanea del proprio sé. Io di social non vedo proprio nulla in questo, lo confesso. Mi pare che si tratti di un mezzo molto semplicistico per ottenere, in modo altrettanto semplicistico, un piccolo, piccolissimo e immediato riconoscimento da parte degli altri. Il problema non indifferente è che nel momento stesso in cui l'utente ti mette “mi piace” e tu hai la tua bella scarica di un millisecondo di dopamina, quello già si è scordato che esisti in quanto la sua agile mente è passata ad apprezzare con un like la foto di una bella smandrappona con la bocca rossa come una ciliegia.
Non c'è nulla di davvero autentico, nemmeno l'apprezzamento. Tanto è vero che, sparendo, nessuno se ne accorge. Ovvio che se fate il post di addio, tutti verranno quei 2 minuti a piangere al vostro capezzale magari pregandovi di rimanere. Vi assicuro però che anche in questo caso, tempo due giorni/ una settimana, nessuno si chiederà se siete in vita o se invece giacete in casa in stato di decomposizione con il vostro gatto che vi mangia.
Per il resto è un diluvio di fake news, di quelli che fanno – appositamente – i bastian contrari su argomenti nazional popolari di cui non hanno la benché minima conoscenza (roba da diventare verde di bile), immagini di gattini e tazzine di caffè con la scritta “buon ferragosto!”, dolorosi strafalcioni grammaticali e concetti di senso sconosciuto, annunci funebri dei “vip” con la scritta rip/ci mancherai, gente che si mette il mi piace da solo, gente di poco conto che si fotografa con il filtro “nemmeno con questo esco bene” e spara la sua frasetta preconfezionata per fare la simpatica o il difensore della qualunque, notifiche di compleanni e altre cose di cui oggettivamente non frega nulla, album delle vacanze 2017 della famiglia Tostapanza, e così via.
Cosa ho ricavato da questa esperienza? Tempo. Un sacco di tempo. Non ci si rende conto di quanto tempo si sprechi a scrollare la home di Facebook fin quando non lo si usa più. Poi? Calma. Credo che Facebook sia come la borsa di New York in grande; un sacco di gente di tutti i tipi che urla e si sbraccia per farsi vedere. Ovviamente questo urlare crea una sorta di confusione mentale e un bombardamento di informazioni, spesso inutili, che generano sentimenti non proprio e sempre positivi. Sia chiaro: esistono contenuti assai interessanti, sopratutto in alcune pagine da cui ho ricavato conoscenze e informazioni che non possedevo o anche solo una sana risata. Io mi riferisco in particolare ai profili personali usati in molti casi per vomitare rabbia, odio e frustrazione o, al contrario, per dare conto di dove si è stati, cosa si è mangiato, quanto ci si è divertiti e del gatto che mangia l'utente morto.
Condividere emozioni è bello, si. Ma non buttarle come grano ai piccioni. E' bello condividere con chi lo merita, con chi realmente ci ritiene presenti nella propria vita; altrimenti è un grosso spreco in cambio di un insulso, vuoto apprezzamento.
Non che la mia esperienza Facebook sia stata del tutto negativa o la rinneghi. Tramite il social ho conosciuto persone importanti che resteranno per sempre nella mia vita e per questo sono grata davvero.
Credo comunque che tra la mia decisione di fare a meno di Facebook (comunque continuo ad usare Instagram) e quello di usarlo compulsivamente ci sia una fantastica via di mezzo; usarlo cum grano salis. In sostanza credo esista un modo intelligente di usare i social sopratutto in relazione allo sfruttamento delle sue (tante) potenzialità positive. Il problema è che per usarlo in modo intelligente bisogna essere intelligenti. E questa qualità è dello 0,01 per cento della popolazione che lo frequenta, me non compresa. Buttarsi lì in mezzo instupidirebbe anche Einstein.
Tatiana Giovanetti - maggio 2018