Non possiamo non riflettere sulla recente Esortazione
del Papa “Amoris laetitia”, che riguarda proprio il matrimonio e la famiglia.
Essa è nata dalla base. Infatti, sono state interpellate le comunità cristiane di tutto il mondo e, sul materiale raccolto, si è riflettuto in due Sinodi.
Nel dibattito ecclesiale e nell’opinione pubblica c’è stato grande interesse riguardo ad una questione concreta, che non è certamente quella più
importante da un punto di vista pastorale: l’eventuale ammissione all’Eucaristia dei divorziati in nuova unione civile. Infatti, come lo stesso Papa Francesco ha
fatto notare, non era questo il problema centrale del Sinodo; basti pensare alle grande sfide della Chiesa riguardo alla famiglia nell’odierno contesto: il fatto che
i giovani si sposano sempre meno; la perdita di ruolo sociale del matrimonio; le nuove ideologie che minacciano la famiglia; e soprattutto e prima di tutto il
grande compito di portare Cristo a tutte le famiglie in una nuova evangelizzazione... Eppure si è voluto concentrare l’attenzione su quel punto
specifico, considerandolo il test di verifica dell’auspicato eventuale cambiamento della posizione della Chiesa (una “rivoluzione” si è detto), magari, come si
sosteneva, solo a livello pastorale e non dottrinale. Un cammino di accompagnamento e di integrazione per le persone lontane
E’ dunque legittima la domanda: il testo appena pubblicato rappresenta davvero un cambiamento nella disciplina tradizionale della Chiesa, permettendo
finalmente ai divorziati “risposati” di ricevere la comunione, almeno in certi casi?
Dopo aver letto il capitolo ottavo, in cui si esamina la questione, c’è una sola possibile conclusione: l’esortazione apostolica Amoris Laetitia non cambia la
disciplina della Chiesa, che poggia su ragioni dottrinali, come indicato da Familiaris Consortio 84 e confermato da Sacramentum Caritatis 29. Infatti, il
corpo del testo del capitolo ottavo neppure menziona l’Eucaristia. In nessuna parte della nuova esortazione post-sinodale Papa Francesco dice che i divorziati
“risposati” possono accedere all’Eucaristia senza il requisito di “vivere come fratello e sorella” e pertanto questa esigenza di Familiaris Consortio 84 e di
Sacramentum Caritatis 29 resta di piena validità come punto di riferimento per il discernimento. Questa chiarezza è il minimo che si dovrebbe chiedere per
legittimare il cambiamento di una disciplina radicata nella tradizione e nella dottrina della Chiesa, stabilita fermamente dal Magistero della Chiesa (cfr. Mt 5,
37). È con chiarezza cristallina che San Giovanni Paolo II in Familiaris Consortio e Benedetto XVI in Sacramentum Caritatis si sono infatti espressi.
È evidente, allora, che Papa Francesco, il quale ha insistito sull’importanza del principio di sinodalità nella Chiesa, non ha voluto andare al di là delle decisioni
sinodali. Pertanto, va detto con chiarezza che anche dopo Amoris Laetitia ammettere alla comunione i divorziati “risposati”, al di fuori delle situazioni
previste da Familiaris Consortio 84 e da Sacramentum Caritatis 29, va contro la disciplina della Chiesa e insegnare che è possibile ammettere alla comunione i
divorziati “risposati”, al di là di questi criteri va contro il Magistero della Chiesa. Ciò che il documento di Papa Francesco propone, invece, è un cammino
d’integrazione, che permetta a questi battezzati di avvicinarsi gradualmente al modo di vita del Vangelo. Infatti le norme oggettive non riguardano la
colpevolezza soggettiva, della quale può essere giudice solo Dio che scruta i cuori, ma mostrano le esigenze e la meta a cui tende ogni evangelizzazione: una
vita piena conforme al Vangelo, che la Chiesa è chiamata ad offrire a tutti, senza eccezioni né casistiche. Essa infatti è possibile, perché è ciò che chiede il
Vangelo (n.102).
Quale è, dunque, la novità di questo capitolo ottavo? Non è la novità di un cambiamento di dottrina, ma dell’approccio pastorale misericordioso di
Francesco, del suo desiderio di portare il Vangelo a coloro che sono lontani, seguendo così una logica d’integrazione progressiva. È per questo che il
documento segnala che ci possono essere circostanze in cui le persone, che vivono obiettivamente in una situazione di peccato, magari non sono
soggettivamente colpevoli a motivo dell’ignoranza, della paura, di affetti disordinati e di altre ragioni, che sempre la tradizione morale ha riconosciuto e
che il Catechismo della Chiesa Cattolica menziona al n.1735. Quest’affermazione è importante: significa che non dobbiamo giudicare o
condannare queste persone, ma essere misericordiosi e pazienti con loro, così come lo è il Padre verso ciascuno di noi, e cercare per ognuno la strada di
conversione dal peccato e di crescita nella carità. Certo l’affermazione di Amoris Laetitia dell’impossibilità di definire la mortalità del peccato personale a
prescindere dalla verifica della responsabilità del soggetto, che può essere attenuata o mancare (n. 301), non toglie la necessità di dire che nondimeno è
uno stato oggettivo di peccato (come si fa al n. 305). Una nuova prospettiva pastorale per la Chiesa Ma, una volta escluse le interpretazioni casuistiche e tendenziose, cosa dunque il
Santo Padre vuole dirci davvero con questo testo? Ecco la risposta semplice e decisiva: vuole annunciare in modo nuovo il Vangelo della Famiglia e vuole
invitare tutti, in qualsiasi situazione si trovino, ad un cammino: “Camminiamo, famiglie, continuiamo a camminare!” (n. 325). Lui stesso aveva suggerito questa
chiave di interpretazione fondamentale, quando, intervistato al ritorno dalla Terra Santa, nel maggio 2014, aveva detto che la domanda fondamentale che lo
aveva ispirato nel promuovere il cammino sinodale non era una questione casuistica, ma l’urgenza di annunciare “ciò che Cristo porta alla famiglia”. E nel
documento Egli parte dalla costatazione che purtroppo nelle nostre società occidentali anche tra tanti battezzati il matrimonio non è più percepito come
buona novella. Questo è il vero problema pastorale, di cui l’esortazione apostolica si fa carico, con coraggio. Il Papa vuole aprire un nuovo cammino alla
proclamazione della buona novella del matrimonio e della famiglia per la vita della Chiesa.
Per capire in che senso, va osservato che in questo documento il Papa mette al centro della sua mediazione l’inno della carità di 1Cor 13 (cap. IV), nel quale
l’apostolo S. Paolo parla della carità come una via migliore. In questo modo il Papa mostra che per lui l’amore è una via sempre nuova, da percorrere nella
piena fedeltà al disegno di Dio sull’amore umano. Questo disegno di Dio sull’amore umano include naturalmente le dimensioni fondamentali, che la
grande teologia del corpo di San Giovanni Paolo II, ripresa dal documento (cfr. nn.150ss), aveva richiamato e che vengono illustrate e richiamate da Papa
Francesco: la differenza sessuale, l’unità indissolubile e fedele e l’apertura alla vita nella fecondità.
Nel percorrere questa via dell’amore mettiamo in risalto qualche elemento decisivo, di grande valore per il rinnovamento della pastorale:
1. La centralità del tema educativo come vocazione all’amore (cap. VII). Frequentemente nel documento si parla di “cammino”, di “storia”, di
“narrazione”. Sono termini che dicono l’importanza della dimensione della libertà nel tempo: la Chiesa non solo esce e si accosta alle persone, le accoglie
così come sono, ma si fa compagna del loro cammino, raggiungendole là dove sono e aiutandole ad arrivare alla meta possibile. Di fronte all’analfabetismo
affettivo e alla fragilità della libertà di fronte a scelte impegnative di tutta persona, e irrevocabili, “per sempre”, la risposta non può essere che un rinnovato
impegno formativo della famiglia, della Chiesa, dei gruppi sociali.
2. La chiarezza dell’insegnamento sull’amore coniugale e la fecondità, a partire dall’enciclica Humanae Vitae. Si apre così il compito di riprendere l’enciclica di
Paolo VI (di cui nel 2018 celebreremo il 50° anniversario) come proposta della Chiesa per evangelizzare l’intimità sessuale. È una luce molto necessaria in una
cultura che, a partire dalla rivoluzione sessuale, ha dimenticato il linguaggio del corpo e della sessualità (n. 222). Questo magistero davvero profetico è
pienamente confermato anche nella prospettiva di una ecologia integralmente umana.
3. Il riconoscimento della centralità pastorale della famiglia nella Chiesa: la famiglia non è prima di tutto un problema pastorale tra gli altri da risolvere, ma
piuttosto un soggetto vivo e presente, cioè la principale risorsa per l’evangelizzazione, anche in vista di una Chiesa più familiare, una Chiesa che
abbia il profilo di una “famiglia di Dio”. Va cioè attivata una circolarità e una sinergia virtuosa tra Chiesa e famiglia. Così come la famiglia è una “piccola
chiesa domestica”, allo stesso modo la grande Chiesa deve avere i tratti ed essere vissuta come “la famiglia di Dio” (nn. 86-87).
4. Il carattere sacramentale della vita cristiana: il cristianesimo si basa su un evento storico che ci raggiunge nella carne e trasforma la carne dell’uomo. Non
sono i piani pastorali elaborati a tavolino ciò che ci può salvare e ancor meno quelli che cercano di adattare la morale cristiana alla mentalità di un mondo
occidentale, in crisi di senso. Perciò occorre superare qualsiasi impostazione puramente emotiva dell’amore oppure banalmente contrattualista e ricuperare il
senso del matrimonio come “cardine” vocazionale della vita cristiana, per chi vi è chiamato.
Uscendo da una logica casuistica, va quindi colto il grande orizzonte positivo che il documento apre per la missione della Chiesa verso le famiglie, mettendo al
centro la questione educativa come questione pastorale decisiva.
5. Sono tre i verbi che il papa ci invita a coniugare come Chiesa nella vita pastorale di ogni comunità nei confronti delle famiglie ferite: accompagnare,
discernere, integrare”.
Nel cap.8 vi si trova l’espressione: “A volte quello della Chiesa è un lavoro dacampo”. Potremmo anche chiamarlo di “pronto soccorso” verso chi ha avuto un
incidente spirituale e morale.
La Chiesa non può non accogliere e curare un ammalato spirituale, chi è fuori strada; questo non significa che rinnega le verità essenziali, le così dette verità
“non negoziabili”; anzi sta proprio lì il suo compito, quello appunto di curarlo, aiutandolo a vivere o rivivere quelle verità.
Questo è espresso al n. 291. Dopo aver affermato che “ogni rottura del vincolo matrimoniale è contro la volontà di Dio”, subito aggiunge che la Chiesa “è
consapevole della fragilità dei suoi figli”. Ecco, pertanto, l’intervento del pronto soccorso, cercando ogni mezzo per curare chi ne è stata vittima.
Ed osserva: “essi partecipano alla vita della Chiesa in modo non perfetto”. Di conseguenza, hanno bisogno di particolare attenzione e cura, proprio per
potersi perfezionare. Pur tuttavia, anche in tali unioni esistono dei valori da non trascurare, anzi da prendere in considerazione.
Ecco allora che al n. 293, leggiamo: “I Padri hanno considerato la situazione particolare di un matrimonio solo civile e, salve fatte le differenze, persino di
una semplice convivenza in cui, quando l’unione raggiunge una notevole stabilità attraverso un vincolo pubblico, è connotata da affetto profondo, da
responsabilità nei confronti della prole, da capacità di superare le prove, può essere vista come un’occasione da accompagnare nello sviluppo verso il
sacramento del matrimonio”.
Al n. 294: “La scelta del matrimonio civile o, in diversi casi, della semplice convivenza, molto spesso non è motivata da pregiudizi o resistenze nei
confronti dell’unione sacramentale, ma da situazioni culturali o contingenti”. E, proseguendo, annota: “vanno affrontate in maniera costruttiva, cercando di
trasformarle in opportunità di cammino verso la pienezza del matrimonio e della famiglia alla luce del Vangelo. Si tratta di accoglierle e accompagnarle
con pazienza e delicatezza”. Nel n. 295 è citato Giovanni Paolo II, nelle espressioni che si leggono nella “Familaris consortio”: la “legge della gradualità” e la “gradualità della legge”.
Per analogia, è come a voler raggiungere una meta. Non si può raggiungere la meta scegliendo una strada piuttosto che un’altra, per
il solo fatto che ci sembra più agevole. Se la strada è sbagliata, ci porta altrove, non ci fa raggiungere la meta prefissata.
Questo per dire che nel cammino spirituale non ci sono gradi o diversità di leggi, finalizzati alla stessa meta. C’è una sola strada da percorrere.
Se gli sposi hanno scelto la giusta strada ma nel contempo, per la tanta fatica del percorso, non raggiungono subito la meta, non devono scoraggiarsi. Se
sono impegnati costantemente nel perseguirla, di fatto vi si stanno avvicinando.
Ecco la legge della gradualità o delle diverse tappe del percorso, sulla giusta strada.
Successivamente, passa a discernere le situazioni dette “irregolari”, che risultano da fragilità o imperfezione della persona.
Per discernere tali situazioni, al n.296 si afferma di non sbagliare strada: “perché due logiche percorrono tutta la storia della Chiesa: emarginare e reintegrare
…. La strada della Chiesa è sempre quella di Gesù: della misericordia e dell’integrazione…. La strada della Chiesa è quella di non condannare
eternamente nessuno; di effondere la misericordia di Dio a tutte le persone che la chiedono con cuore sincero ….
Pertanto, sono da evitare giudizi che non tengono conto della complessità delle diverse situazioni, ed è necessario essere attenti al modo in cui le
persone vivono e soffrono a motivo della loro condizione”.
Il n. 297 prosegue dicendo che: “si tratta di integrare tutti, si deve aiutare ciascuno a trovare il proprio modo di partecipare alla comunità ecclesiale,
perché si senta oggetto di una misericordia <immeritata, incondizionata e gratuita>.
Mi auguro, che nasca in tutti noi (presbiteri, diaconi, operatori pastorali) una attenzione privilegiata, per ora insufficiente, alla famiglia e alle tante
situazioni che possono mostrare e dare risalto alla bellezza della ‘chiesa domestica’, senza nascondere fragilità, ferite, limiti, per i quali siamo
chiamati ad aumentare le riserve di misericordia nel ‘pozzo dell’amore’, educando i nostri fedeli all’accoglienza delle famiglie ferite, evitando
atteggiamenti di rifiuto e di condanne.
Non avvenga nelle nostre comunità di reagire come il figlio maggiore della parabola evangelica del Padre misericordioso che, sentendosi offeso,
fatica ad accogliere il figlio minore che era perduto. Perché come dice il Papa: “prendersi cura di loro non è per la comunità
cristiana un indebolimento della sua fede e della sua testimonianza circa l’indissolubilità matrimoniale, anzi essa esprime proprio in questa cura la
sua carità” (AL 243).
“La sposa di Cristo fa suo il comportamento del Figlio di Dio che a tutti va incontro senza escludere nessuno. Sa bene che Gesù stesso si presenta come
Pastore di cento pecore, non di novantanove: le vuole tutte (AL 309). Comprendiamo allora che nell’ovile tutti devono poter entrare o ritornare.
È la logica del Vangelo che diventa la regola di vita della Chiesa. Ora più che mai con convinzione profonda, sappiamo che c’è una sola strada su
cui possiamo ritrovarci: la via della carità sulla quale “accompagnare, discernere, integrare le fragilità”.
Va a tutte le famiglie l’esortazione finale del Papa: “Camminiamo, famiglie, continuiamo a camminare” (AL 325).
Don Barone - 23 maggio 2017